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Seminario per i docenti tenuto presso il Liceo Piazzi Perpenti (Sondrio) il 25 maggio 2018 e organizzato dal prof. Luca Curtoni, che è anche un collega.
Oggi qui vorrei parlarvi, dal punto di vista della psicoanalisi, di quelli che sono i disagi degli adolescenti. Anzitutto, per la psicoanalisi, il termine adolescente non ha molto senso: è un termine utilizzato nell’ambito della sociologia e della psicologia, che deriva dal latino di adolescĕre vale a dire «crescere», e che da più di cinquant’anni è diventato anche un significante comune… Esso sta ad indicare l’insieme dei giovani che sono usciti dall’infanzia e che, però, non sono ancora diventati adulti. Ma cosa significa? Adolescente è anzitutto un significante rispetto al quale il ragazzo o la ragazza si trova assegnato e che deve interpretare in relazione al suo essere stato bambino e a quello che l’Altro, il mondo esterno, gli dice essere un adolescente oggi e, inoltre, gli dice che dovrà essere, come uomo o come donna, per il suo futuro. In genere gli attributi associati al termine adolescente, nel discorso comune, purtroppo, non sono particolarmente positivi: andiamo dal bamboccione viziato, al maleducato, al pigro che non si interessa, che non legge, che sta incollato allo smartphone, che vive nei selfie postati su instagram, ecc… Oltre a questi significanti, sembrano essere molto in voga anche i termini psichiatrici o comunque patologizzanti (bipolare, anoressica, bulimica, iperattivo, ecc…) che i ragazzi usano spesso per definirsi o per definire l’altro. Tutti questi sono termini che, però, non dicono nulla della singolarità soggettiva di uno specifico adolescente. Possiamo supporre che spesso se ne parli male proprio perché l’adolescenza è stata, per quelli che ora sono adulti, un momento difficile, “la più delicata delle transizioni”, come ha scritto il grande scrittore Victor Hugo. Superata tale transizione, non se ne vuole più sapere nulla — delle proprie difficoltà, dei propri brufoli o della propria impacciataggine di quel periodo — e, in un certo qual modo, proprio per questo li si diffama…
Questo, però, è spesso il senso comune del termine “adolescente”, rispetto al quale il giovane deve trovare, invece, il suo modo personale di esserlo o meglio di essere se stesso, in quanto uomo e in quanto donna. Per la psicoanalisi, infatti, l’essere parlante riceve i suoi significanti dall’Altro, “è parlato” dall’Altro, in primo luogo dalla famiglia in cui è nato e si è formato. Quindi il termine “adolescente” entra in relazione anche con il bambino che è stato prima e con i significanti che ha ricevuto in tale ambiente. Se, per la psicoanalisi, non esiste soggetto senza Altro, questo significa che la posizione degli adulti — che diventeranno o meno l’Altro dell’adolescente — è fondamentale, per la risposta che essi possono o meno dargli. Ad ogni modo, per essere più precisi, dal punto di vista della psicoanalisi è più corretto parlare degli adolescenti al plurale. Ogni adolescente, infatti, ha una sua storia personale, parte da un’esperienza soggettiva singolare e la forma che prenderà per lui o per lei l’adolescenza non può essere generalizzata né tanto meno standardizzata.
Trasformazioni
La psicoanalisi, a differenza della psicologia che studia le funzioni psichiche e il cosiddetto funzionamento psichico e sociale di un individuo, si occupa di quello che non funziona, delle difficoltà del giovane, parte dall’esperienza di colui che soffre. Essa parte, quindi, dalle rotture che costellano la crescita e dalle nuove configurazioni che da tali rotture si originano. Le rotture proprie della crescita sono: l’uscita dall’infanzia, la scansione prodotta dalle trasformazioni del corpo, la caduta degli ideali infantili e la ricerca di nuovi ideali a cui identificarsi, il distacco graduale dalla famiglia e l’invenzione di nuovi legami con i pari, nel gruppo e a scuola… e, di nuovo, nel periodo dell’adolescenza si affacciano i primi grandi interrogativi della vita: cos’è l’amore? Il desiderio? Chi sono? Cosa voglio? Possono sembrare dei luoghi comuni, ma non lo sono affatto: ogni ragazzo/a vi è confrontato e, che lo voglia o meno, è tenuto a rispondervi in un modo o nell’altro.
Mentre l’adolescenza è un termine anonimo che cerca di mettere insieme tutti gli individui che vanno all’incirca dai 13 ai 20 anni e forse più, la pubertà sta ad indicare qualcosa di molto più concreto: essa si riferisce alla serie di trasformazioni del corpo che incidono anche sul mentale. La pubertà — di cui Freud scrive nel suo saggio su “Le trasformazioni della pubertà” del 1905 — è un momento cruciale, di rottura, in cui il giovane uomo e la giovane donna si confrontano, per la prima volta, con un corpo diverso, il proprio, e, in genere, per la prima volta anche con quello dell’altro sesso. Il proprio corpo cambia, diventa un “mistero”, un luogo cioè in cui il giovane fa l’esperienza di sensazioni nuove — positive e negative — prodotte anche dai cambiamenti ormonali che il sapere costruito nel corso dell’infanzia non riesce a significare interamente come pure il sapere che gli viene dall’Altro.
Nella pubertà, per la prima volta, il ragazzo e la ragazza fanno l’esperienza di quella che lo psicoanalista Jacques Lacan ha definito come la non esistenza del rapporto sessuale, nel senso che, a differenza degli animali che sono guidati da un istinto, da un sapere scritto nella natura, per nutrirsi e per congiungersi sessualmente, per gli esseri umani non è così. La sessualità, per gli essere umani, fa buco nel sapere; essa si manifesta sotto forma di alterità, di enigma. Ed è proprio nell’adolescenza che i ragazzi, per la prima volta, colgono questa cosa, che non c’è un sapere che dice come fare con l’altro sesso, come fare con il proprio corpo. E questo, indipendentemente, dai saperi tecnici sulla sessualità o sul corpo da un punto di vista biologico che, con l’uso di internet, si trovano ovunque. Quello che non si trova, invece, è un sapere che dica qualcosa del loro rapporto singolare con il reale del loro corpo né tanto meno come fare con il corpo dell’altro. É un enigma che, spesso, preoccupa, interroga, che produce ansia o che, in alcuni casi, lascia il ragazzo o la ragazza in uno stato di perplessità tale da dare origine a sintomi più strutturati.
A differenza di Freud che ha elaborato lo scarto tra piacere e al di là del principio del piacere con il mito edipico — il padre o la legge che fa da limite tra i due e che, in un certo senso, orienta il soggetto — Lacan, più vicino a noi, nel tempo e nella sua elaborazione, ci dice che questa difficoltà è propria dell’essere umano in quanto essere parlante: poiché siamo immersi nel linguaggio, poiché viviamo del e nel linguaggio, l’inserzione del linguaggio nel corpo fa problema. Si tratta di due realtà completamente diverse fra loro e, cosa ancora più complessa da intendere, il corpo si ottiene proprio a seguito dell’incorporazione del simbolico. Prima di questo evento, siamo in presenza solo di un organismo. Con la nascita nel bagno di linguaggio, il bambino ha un corpo che, in genere, non gli crea troppi problemi nel caso in cui ha avuto modo di ricevere, da un lato, cure materne caratterizzate da un “interesse particolareggiato” e, sul lato del padre, “un’incarnazione della Legge nel desiderio” (J. Lacan, “Note sur l’enfant”, Autres écrits, Seuil, Paris, 2001, p. 373).
La pubertà porta alla ribalta il corpo, un corpo nuovo che il ragazzo o la ragazza deve fare proprio, a partire dalle coordinate della sua storia personale. Quando la pubertà viene vissuta come un momento traumatico, essa si presenta sempre troppo presto per colui che la vive; allora si possono verificare tentativi sintomatici (fra i quali, ad esempio, l’anoressia che, in un qualche modo, blocca e inibisce la trasformazione del corpo) per tornare all’infanzia, al già noto; oppure può produrre l’orrore o il disgusto per il proprio corpo. I fantasmi infantili non bastano per risignificare questo evento e diventa necessario un legame con l’Altro che permetta all’adolescente di crearsi un nuovo Ideale dell’io che includa il “nuovo” corpo. D’altro canto, anche se il desiderio dell’Altro è fondamentale nella costruzione di un Ideale dell’Io, le identificazioni, come indica Lacan, “vi si determinano dal desiderio senza soddisfare la pulsione” (J. Lacan, “Du Trieb de Freud et du désir du psychanalyste”, Ecrits, Seuil, Paris, 1966, p. 853). Le identificazioni (simboliche e immaginarie) non bastano per “tenere a bada” la pulsione che eccede il simbolico, che non è controllabile. Al di là del narcisismo infantile, sostenuto dalle identificazioni, si fa strada un nuovo godimento che turba l’omeostasi precedente. Il corpo in trasformazione proprio della pubertà fa esperire in prima persona quello che Freud — nella sua Lettera a Fliess n. 46 — aveva definito come “un’eccedenza di sessualità” che il soggetto rimuove, da cui si difende, o attraverso il disgusto e lo spavento (come nell’isteria) o attraverso rituali o procrastinazioni (come nella nevrosi ossessiva). Come sottolinea inoltre Freud, “l’eccesso della sessualità è la determinante degli attacchi d’angoscia durante la maturità” (S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, p. 117).
Molti dei sintomi che si manifestano nell’adolescenza sono la conseguenza logica del fatto che non esiste un sapere iscritto nell’organismo che possa dire al ragazzo come fare con il corpo dell’altro, dell’altro sesso. L’unico sapere a disposizione, che deriva dall’Altro, concerne più il lato significante dell’essere uomo o donna. “Per il ragazzo”, dice ancora Lacan, “si tratta, nell’età adulta, di fare-uomo… e di far segno alla ragazza che lo si è. Per dirla tutta, ci troviamo da subito posti nella dimensione del sembiante” (J. Lacan, Le Séminaire, livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant [1971], Seuil, Paris, 2006, pp. 31–32). La dimensione del sembiante, vale a dire dell’apparenza significante, è fondamentale ma, ovviamente, non dice molto riguardo al rapporto con il corpo dell’altro, all’incontro reale e, inoltre, mentre negli anni ’70 il sembiante del fare-uomo e dell’essere-donna erano forse più chiari, oggi anche i sembianti sono, per così dire, “liquidi”, cambiano secondo le mode…. L’identità sessuale è molto più fluida. Il che ha svantaggi e vantaggi per gli adolescenti, dipende caso per caso. L’adolescente, quindi, si iscrive sotto il sembiante uomo o donna — e questo lo aiuta ad avvicinare l’altro sesso, ma resta il buco che la sessualità produce in tutti i saperi.
8 Superfit Pantalone Verde Leggings 7 FREDDY La trasformazione del corpo produce, inoltre, un cambiamento relativo all’oggetto di soddisfazione: mentre nell’infanzia la pulsione concerne il corpo proprio, l’altro corpo come oggetto sessuale fuori di sé introduce nella soggettività l’esperienza dell’oggetto perduto, della perdita, che si situa all’interno del processo di soddisfazione stesso. L’amore maschera tale perdita e permette al giovane di trovare dei sostituti, sostituti dell’oggetto sempre mancato. D’altro canto, come già detto prima, il nuovo Ideale dell’io consente all’adolescente di avventurarsi come uomo o come donna nella relazione con l’altro. Le sensazioni che l’adolescente vive, di fronte a tali cambiamenti del corpo, sono spesso di estraneità rispetto al proprio corpo, poiché non ci sono parole per dirlo, e spesso vive un senso di vuoto e di vergogna.
Come spiega molto bene Philippe Lacadée nel suo testo Il risveglio e l’esilio, “tale vergogna può condurre al disgusto, all’odio di sé, all’odio di questa cosa nuova” (Ph. Lacadée, L’Éveil et l’exil. Enseignements psychanalytiques de la plus délicate des transitions: l’adolescence, Nantes, Éditions Cécile Defaut, 2007, p. 21) che determina “la sensazione di essere a parte, in esilio”. E ancora: “A causa del reale della pubertà, il soggetto è esiliato dal suo corpo di bambino e dalle parole della sua infanzia, senza poter dire quello che gli succede. Il paradosso con cui si confronta, allora, nel suo incontro con l’Altro sesso, è l’esilio del suo proprio godimento che, invece di entrare in rapporto con l’Altro, lo esilia ancora di più in una solitudine che non può tradurre in parole. Il compito dell’adolescente è quello di inventare un annodamento per gestire l’alterità radicale dell’Altro sesso” (Ph. Lacadée, Verde Superfit 7 FREDDY Pantalone Leggings 8 Vie éprise de parole. Fragments de vie et actes de parole, Paris, Éditions Michèle, 2012, pp. 65–66)
I traumi
Per la psicoanalisi, il trauma non corrisponde alla catastrofe, naturale o meno che sia, non è un evento esterno incontrollabile che produce effetti devastanti. Per Freud il trauma è piuttosto una traccia, silenziosa che, però, a posteriori si verifica traumatica in quanto ha avuto degli effetti, nel e sul soggetto. A posteriori, si può verificare che un certo evento — anche apparentemente insignificante — ha indicato al soggetto qualcosa di lui che lo ha toccato nel suo intimo, in modo enigmatico, e che, solo a posteriori, può ricostruire e mettere in parola. Il trauma non si può evitare, fa parte dell’esperienza umana, proprio perché c’è una disgiunzione tra il simbolico e il reale, tra il sapere e il godimento del corpo, non tutto del godimento può essere riassorbito nel sapere soggettivo. Il reale che emerge in modo traumatico, prodotto dall’esperienza traumatica, inoltre, soggioga chi lo ha vissuto e insiste, si ripete in modo paradossale.
L’adolescenza è un periodo di estrema fragilità per i giovani che la vivono e, proprio per questo, i traumi, anche del passato, possono riemergere e produrre effetti più ampi. Il trauma, nello specifico, produce quello che J.-A. Miller ha chiamato una “disrupzione rispetto a un ordine precedente fatto della routine del discorso con cui le significazioni tengono o della routine che si immagina del corpo animale” (J.-A. Miller, “L’Orientation lacanienne, L’Etre et le Un”, cours du 23 mars 2011, inédit). C’è una prima effrazione, un troppo, un godimento che emerge, e dei momenti di ripetizione in cui l’omeostasi costruita dal soggetto — omeostasi di difesa, stabilità dell’io — vacilla di nuovo, producendo una nuova effrazione. Una parola, una sensazione incomprensibile, qualcosa che fa enigma e che, spesso, isola dall’altro perché non se ne parla, non se ne può parlare, è il segreto più intimo….
Sloggi confezione Donna BIANCO Basic 2pack Maxi 616rqQuesto è il terreno instabile su cui si muove l’adolescente che, spesso, per difendersi da tutto ciò si muove, si agita, si lancia verso il “tutto” degli oggetti di consumo, dell’agire, del fare e del farsi — che serve a tappare il buco dell’enigma — e il “subito”, l’impellente. Quello che manca, che si fa mancare in ogni modo è il tempo, il vuoto necessario per elaborare, per fare separazione e accogliere l’elemento che fa trauma nella vita dell’adolescente. In queste condizioni, spesso l’adolescente si isola, o si unisce a quelli che — lui crede — condividono le stesse difficoltà (senza però parlarne) e rifiuta in modo netto quello che viene dall’Altro, dal senso — che, effettivamente, è spesso solo del buon senso, cioè del senso banale. Così si lancia ancora di più nel godimento mortifero, alla ricerca della sua verità ma senza l’Altro, e spesso si ritrova ad essere lo schiavo del suo superio che lo spinge verso il peggio. Un rifiuto o uno scherno apparentemente banale può riattivare l’eruzione di godimento e far sì che, dall’oggi al domani, lo stesso adolescente sembri un’altra persona, non sia più la stessa: insulti, gesti violenti, chiusura, rabbia…. Che, comunque, forse sono modalità di risposte soggettive meno mortifere dei sintomi più diffusi nell’adolescenza oggi.
Verde Superfit FREDDY 8 Pantalone Leggings 7 A differenza delle terapie cognitivo-comportamentali o dell’EMDR che utilizzano la suggestione o tecniche impositive per eliminare quello che ritengono essere il trauma (in realtà è piuttosto il sintomo scatenante, quello che ha fatto emergere il trauma primario, cioè il godimento), la psicoanalisi sceglie un’altra via, molto più etica. Aiuta il giovane ad introdurre il tempo e lo spazio per parlare liberamente di quello che lo fa soffrire. In questo modo, aiuta il giovane a rielaborare quello che ha fatto trauma, a creare una finzione, una storia simbolica che dia senso o che veli comunque il reale del trauma. È un percorso singolare che ogni adolescente deve fare e in cui può essere accompagnato dagli adulti che, per lui, occupano il posto dell’Altro, che sono per lui comunque dei punti di riferimento….
Gli imperativi contemporanei
Nel XXI secolo sono sempre più evidenti le mutazioni iniziate nel secolo scorso, ovvero la caduta degli schemi su cui si fondava la società e che funzionavano anche da riferimento-limite, ovvero, il patriarcato, la tradizione, il capo, un riferimento unico… oggi, siamo piuttosto in una logica del non-tutto, non c’è un riferimento che funzioni come eccezione e che faccia da limite, ce ne sono molti, cangianti e poco duraturi. Questa cosa può essere vista in modo positivo, come una situazione di libertà e quindi di possibile creazione. In realtà, quelle che nel passato erano le interdizioni funzionavano anche da limite e, proprio per questo, permettevano, innescavano il desiderio.
Oggi, siamo in una situazione più complessa: non c’è più il limite e, come indicava Lacan, tutto diventa obbligatorio. Gli imperativi contemporanei sono più subdoli perché non proibiscono ma piuttosto spingono a… godere, sempre di più, a farsi vedere, sempre di più, ad essere, sempre di più… È la forma contemporanea del Superio che esige godimento, oggetti da consumare o — se ci guardiamo bene — da cui essere consumati. Il tutto senza limite, senza senso e, spesso, senza legami se non quelli fittizi creati attorno all’oggetto di consumo. Questo è particolarmente evidente nella vita degli adolescenti, già traumatizzati dal loro corpo, dall’incontro con l’altro sesso: gli oggetti possono diventare dei sostituti, degli appoggi da cui, però, poi vengono consumati, a cui non sanno porre un limite. L’imperativo diventa sempre più forte, impossibile da limitare e, quando dall’altro viene un limite, la risposta non può che essere violenta o comunque esagerata. Questo avviene anche perché, come indica molto bene M.-H. Brousse, “il superio ipermoderno è l’impero dell’oggetto instaurato nel luogo di un altro che è il mio simile”, esso è “passato dal padre ai pari” (M.-H. Brousse, “Le surmoi sous l’empire de la logique du «peer to peer»: variations cliniques”, Mental 26/27, p. 44). Non c’è più un ideale per il quale e dal quale si accetterebbe il limite, mentre il pari spinge piuttosto all’emulazione o alla competizione.
La spinta a godere a livello sessuale può provocare, nei casi più estremi, quella che viene solitamente chiamata una dipendenza dagli scambi sessuali, con il fenomeno, ad esempio, delle baby squillo o altro, ma, nei casi più normali, può produrre l’esatto rovescio, ovvero, come indicava S. Cottet, una certa “autolimitazione” (S. Cottet, “Le sexe faible des ados: sexe-machine ou mitologie du coeur?”, in L’inconscient de papa et le nôtre, Editions Michèle, Paris, 2012, p. 114), una sorta di indifferenza rispetto alla sessualità che non è altro che una difesa. È più facile rapportarsi con gli oggetti di consumo o con gli altri come oggetti di consumo, da consumare, che non con il corpo dell’altro. Allora si vedono ragazzi e ragazze che hanno rapporti di amicizia, che si trovano insieme per bere e divertirsi o per il tromba-amico della serata ma che evitano il più possibile il trauma dell’incontro sessuale, vale a dire il “non-rapporto” che è la verità del rapporto sessuale. Al contempo, forse proprio per la sovraesposizione al sesso, quello che diventa più difficile, fonte di imbarazzo, è l’amore: mancano le parole, i modi per dirlo… l’amore è difficile perché fa esistere la mancanza, perché ci mostra mancanti, ci obbliga a perdere qualcosa del nostro godimento autistico. La mancanza, infatti, sembra essere, per così dire, il grande tabù del mondo contemporaneo. La mancanza e la perdita…
L’ambito scolastico è il luogo ideale in cui il superio — vale a dire l’esigenza di godimento a cui il soggetto è assoggettato — può manifestarsi: è il palcoscenico su cui, oltre alle trasformazioni del corpo, le richieste dell’altro scolastico, dei docenti e dei genitori, il confronto con i pari a livello del sapere, le aspettative del soggetto, la necessità di “metterci del proprio” possono produrre ansia, attacchi di panico oppure altre forme di inibizioni o di sintomi che potremmo chiamare di opposizione. Da un lato, l’adolescente ha già un suo sapere proprio (sul linguaggio, sui segreti di famiglia, sulla sua storia, su quello che gli altri vogliono da lui) — a cui è importante dare spazio — e, dall’altro, deve perdere qualcosa del suo godimento — connesso ai suoi oggetti di godimento, internet, smartphone, videogiochi e altro — per poter entrare nel legame e per poter accogliere qualcosa del sapere che gli viene proposto e/o imposto. Per stare a scuola, infatti, il ragazzo deve distogliere lo sguardo dal cellulare, l’udito dall’mp3, il sapere non gli deve essere rifilato come un cibo con cui ingozzarlo e neppure come qualcosa di irraggiungibile che il ragazzo può cedere solo controvoglia. Come indica in modo magistrale J.-A. Miller, “ogni sapere comporta un’escissione (…) esige che consenta a una perdita” (J.-A. Miller, “L’enfant et le savoir”, in AA.VV. Peurs d’enfants, Navarin, Paris, 2011, p. 16). Solo in questo modo è possibile apprendere il sapere che viene dall’Altro che, dal canto suo, deve rispettare il sapere e le modalità di godimento del giovane. Ed è solo in questo modo che si può limitare una difficoltà supplementare, sempre più attuale, ovvero il fatto che oggi per il giovane, il sapere non è più, come dice J.-A. Miller, “l’oggetto dell’Altro” (J.-A. Miller, “En direction de l’adolescence”, in AA.VV, Après l’enfance, Navarin, Paris, 2017, p. 20). Il sapere è disponibile su internet — il che può essere un vantaggio nel senso della sua cosiddetta autonomia — ma, di fatto, questo significa che non è più necessario passare attraverso l’Altro per costruirsi un sapere. Come, quindi, fare in modo che il giovane si costruisca un approccio personale con il sapere senza che l’autonomia diventi invece solitudine e rifiuto di quello che viene dall’Altro? Come aprire il desiderio di sapere e un interesse verso l’Altro, se non si fa spazio alla singolarità di ogni adolescente?
La psicoanalisi, che ovviamente non ha obiettivi educativi, accoglie il sapere del giovane e lo aiuta nel “ciclo sapere-godimento che si scatena a partire da un evento di corpo”, (J.-A. Miller, “L’enfant et le savoir”, in AA.VV. Peurs d’enfants, Navarin, Paris, 2011, p. 19) vale a dire da quello che abbiamo chiamato un evento traumatico. Così facendo, permette all’adolescente di alleggerire i vari “troppo” che infestano la sua esistenza, lo aiuta a mettere in questione in questione gli ideali e gli imperativi attuali che lo limitano. Gli permette, per così dire, di arieggiare un po’ la stanza…
I sintomi, le risposte soggettive
Quanto detto sopra mostra la condizione di fragilità in cui gli adolescenti si trovano e a partire dalla quale non possono far altro che posizionarsi. Che sia nel blocco inibitorio, nel sintomo, nell’imitazione dell’altro o nella trasgressione, ognuno si posiziona, a partire dalla propria storia soggettiva. Forse la risposta più comune è quella dell’identificazione ai simili tramite un sintomo: funziona come una sorta di epidemia, “sto con quello che soffre come me” o “sto con quello che si fa come me”. È un’identificazione immaginaria — che serve per non sentirsi solo — che produce segregazione (gli altri, quelli diversi da me, fuori!) e che, di fatto, significa anche identificarsi a un significante, un’etichetta che viene dall’altro ma che non dice nulla della sua soggettività. Per la psicoanalisi, infatti, un sintomo, anche se condiviso con altri, in realtà è sempre soggettivo: anzitutto è un appello, una richiesta di aiuto, di ascolto individuale, rispetto a una sofferenza personale e, proprio per questo, bisogna fargli un posto. Un sintomo vuole dire qualcosa, esprime una sofferenza, e, al tempo stesso, è un godimento da cui il soggetto non riesce a sottrarsi. Si impone a lui, è, come si suol dire “più forte di me!”. Questo significa che l’identificazione all’altro “che soffre come me” non aiuta affatto, anzi nega il singolare presente in ogni sintomo. Per aiutare gli adolescenti in difficoltà è necessaria la presenza di qualcuno che si faccia destinatario di tale messaggio di sofferenza e che aiuti il soggetto, a partire dal suo dire, dalla sua elaborazione, a staccarsene. L’incontro con un analista, per un giovane, può essere l’occasione, oltre che di una cura, di scoprire e di crearsi qualcosa di nuovo: un desiderio che non sapeva di avere, delle passioni che si negava, ecc…. D’altro canto, non va dimenticato, che il sintomo è sempre una risposta del soggetto — per quanto disfunzionale — a un suo disagio o a una sua difficoltà, è la sua risposta soggettiva. Quindi ci dice qualcosa del giovane e proprio per questo va rispettato, non si può pensare di eliminarlo.
Anche se ogni caso è diverso da un altro, possiamo dire che la manifestazione dell’ansia, dell’angoscia e degli attacchi di panico si presenta ogni volta che c’è un troppo, un troppo di godere. In questo senso, sono dei segnali che, come diceva Lacan rispetto all’angoscia, indicano che “la mancanza viene a mancare” (cfr. J. Lacan, 8 Superfit FREDDY Leggings Verde Pantalone 7 Leggings 7 Superfit Verde FREDDY Pantalone 8 Seminario X, L’angoscia).
Il rifiuto, l’inibizione e altre forme del dire di no spesso sono connesse, com’è il caso specifico della fobia, con la funzione del Nome-del-Padre, vale a dire del limite. Come ha spiegato Lacan nel suo Seminario IV, l’oggetto fobico, quello che il soggetto non può avvicinare, che gli impone una distanza, è in primo luogo “un significante” (J. Lacan, Le Séminaire, livre IV, La relation d’objet, Paris, Seuil, 1994, p. 395.) che serve da barriera quando la barriera della legge, il limite non funziona più. Quando il padre (come funzione, non il padre reale) non funziona da limite, una paura può servire “per non esagerare” — come mi diceva una giovane paziente… Il problema è quando la paura diventa onnipresente oppure impedisce di vivere.
Molte risposte sintomatiche in adolescenza sono risposte di tipo regressivo, in cui il sintomo orale prende il sopravvento: mentre nella dipendenza (da droghe, da alcol o dai social) si può manifestare un troppo che non si riesce a controllare, nell’anoressia, come diceva Lacan, il soggetto è piuttosto assoggettato alla sua passione per il “niente” — mangia niente, dice “per me non troppo” a vari livelli… Nella bulimia, invece, il soggetto è in balia della logica tutto-niente. In tutti questi casi, il godimento del sintomo si manifesta nel suo aspetto più autistico, solitario, senza l’Altro. Come mi diceva una paziente anoressica, però, la paura del cibo è solo una facciata, un alibi, il vero oggetto della paura è il corpo proprio, l’angoscia, il rapporto con l’altro sesso, l’imprevisto… in altri termini, tutto quello che non si può controllare.
Nelle situazioni più difficili, si possono verificare “passaggi all’atto o acting out” violenti, contro di sé o contro l’altro. Questo avviene quando l’equilibrio soggettivo viene scosso, quando il sintomo che il ragazzo si è costruito non tiene più, quando emerge un reale insostenibile. In questo caso, il passaggio all’atto può essere l’ultima barriera contro l’angoscia; senza pensiero, senza parole e senza tempo per riflettere, in cui chi compie l’atto — anche quello contro l’altro — è piuttosto in posizione di oggetto “spinto a”…
Senza entrare più nel dettaglio dei sintomi degli adolescenti, ne estraggo solo uno che, a mio avviso, non va mai dimenticato. Secondo Ph. Lacadée, infatti, “la domanda di rispetto è il sintomo dell’adolescente moderno in quanto qualcosa del suo essere di oggetto lo spinge ad esigere dall’Altro un riconoscimento di quello che è, laddove esso non ha avuto luogo in mancanza di un Altro che dica di “sì” alla sua esistenza” (Ph. Lacadée, « La demande de respect. Un des noms du symptôme de l’adolescent », Quarto, n°74, 2001, p. 38). In questa sua richiesta, forse, interpreta anche gli adulti : chiede rispetto perché vorrebbe che gli adulti fossero più rispettabili….
L’accompagnamento degli adulti
7 FREDDY 8 Leggings Pantalone Verde Superfit Come adulti, quindi, che accompagnamento dare? Come ho cercato di spiegare sopra, affinché un adolescente possa acconsentire ad andare verso l’Altro, ad accogliere il suo sapere e a metterlo in discussione a partire dalle sue elaborazioni personali, è necessario che ceda qualcosa del suo godimento, che molli un po’ la sua posizione di godimento. Per questo la presenza dell’altro incarnato negli insegnanti dovrebbe riuscire a “dividerlo”, vale a dire dovrebbe riuscire a fargli mettere in questione alcune sue certezze, quelle mutuate dalla sua storia famigliare e che gli servono per proteggersi dal nuovo. Il sapere che viene dall’altro dovrebbe toccarlo, interessarlo nel suo intimo e dovrebbe, cosa fondamentale, fare spazio alla parola dell’adolescente. E questo è possibile solo se gli adulti mettono in campo in primis il loro desiderio a cui i giovani possono identificarsi.
Come ha scritto Freud nel suo testo sul suicidio: “la scuola secondaria deve fare di più che evitare di spingere i giovani al suicidio; essa deve creare in loro il piacere di vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i loro legami con la casa paterna e la famiglia” (S. Freud, “Contributi a una discussione sul suicidio”, Opere, vol. 6, p. 301).
Adele Succetti